Intervista a Giorgia Angeloni, ricercatore IZSVe e Presidente di Vétérinaires Sans Frontières International

Giorgia Angeloni, cooperazione internazionale veterinaria

Campi Profughi Saharawi, Algeria. Giorgia Angeloni durante una tempesta di sabbia.

“Ci sono progetti che coinvolgono le donne, come il caseificio a 3.500 metri sulle Ande peruviane o la latteria in Senegal; altri che invece interessano zone critiche come i campi profughi Sahrawi in Algeria o l’area Balcanica, interessata in tempi recenti dalle ondate migratorie provenienti dal Medio Oriente”.

La cooperazione veterinaria internazionale a volte è scomoda, difficile, anche rischiosa, ma è un settore di fondamentale importanza:

ha un impatto non solo sulle vite dei beneficiari dei progetti, ma anche indirettamente in quanto attiva dinamiche i cui benefici possono arrivare fino alle nostre porte”.

Ogni volta è una scommessa, spesso si lavora in zone remote, disabitate, dove tutto è fragile e allo stesso tempo forte, come le tradizioni, come la resistenza e la resilienza delle comunità locali.

Prima la ‘cooperazione’, poi la ‘veterinaria’

Giorgia Angeloni è una veterinaria specializzata in malattie infettive e cooperazione internazionale con oltre 10 anni di esperienza nei cosiddetti paesi a basso reddito. Dopo la laurea, un dottorato e un master in cooperazione internazionale, ha collaborato a diversi progetti in giro per il mondo, soprattutto in Africa occidentale, Europa orientale e Balcani. Oggi è ricercatrice all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), presso l’U.O. Ricerca e cooperazione internazionale.

Cooperazione internazionale veterinaria

Marocco del sud. Recinti per i piccoli ruminanti, costruiti per evitare che gli stessi siano tenuti legati per la zampa.

Le situazioni che si presentano possono non essere facili e sono spesso contrastanti.

Se da un lato trovi povertà, malnutrizione, assenza di risorse e di prospettive, dall’altro la genuinità delle persone, il sopravvivere di tradizioni e conoscenze, la bellezza di alcune aree e la consapevolezza che il tuo operato può effettivamente fare la differenza, rendono questo lavoro unico e stimolante. 

Una professione che è prima di tutto una passione, che implica giocoforza anche qualche rinuncia. Quello che manca di più quando sei in missione è la liberta di essere spontanei, di lasciarsi andare ogni tanto: pochi svaghi, meno libertà di movimento, discrezione nell’aspetto esteriore. Inoltre, la responsabilità verso l’istituzione che rappresenti è enorme e può bastare un comportamento sbagliato o male interpretato per incrinare delle relazioni o danneggiare un progetto. Se la missione è lunga questa cosa può diventare pesante ”.

La cooperazione è un settore molto complesso che richiede grande spirito di adattamento, intraprendenza e dedizione.

“Oltre ad una grande professionalità, il veterinario ‘cooperante’ deve essere paziente, flessibile, aperto ad accogliere e rispettare religione, usi, costumi e cucina. Soprattutto devi essere rispettoso di culture che possono essere molto lontane dalla nostra, e collaborare nonostante le diversità.

Come dico sempre ai giovani colleghi che per la prima volta si affacciano a questo mondo: prima viene la ‘cooperazione’, poi la ‘veterinaria’. Non c’è un altro modo per fare questo lavoro. Ma anche in questo risiede la bellezza di quel che facciamo. Ogni volta che si parte ci si mette in gioco, come professionisti e come persone ed al ritorno entrambi questi lati risultano profondamente arricchiti.”

 IZSVe e Veterinari Senza Frontiere, trent’anni di collaborazione

Da qualche mese la dott.ssa Angeloni è anche Presidente di Vétérinaires Sans Frontières (VSF) International, il network di cui fa parte anche VSF Italia. Nel 2019, come riportato nel report annuale, i 12 componenti di VSF International hanno portato avanti progetti in 35 diversi paesi di Africa, Asia e America Latina, migliorando le condizioni di vita di più di 2 milioni di famiglie. Il network ha raggiunto più di 27 milioni di animali, supportato più di 6.000 professionisti della sanità animale e distribuito più di 42.000 animali ai nuclei familiari più vulnerabili. ​

Cooperazione internazionale veterinaria

Zouèrat, Mauritania. Identificazione dei sintomi delle principali malattie da parte dei pastori in un lavoro di epidemiologia partecipativa.

La cooperazione internazionale è sempre stata di casa all’IZSVe. Quello tra IZSVe e Veterinari Senza Frontiere Italia è un rapporto cominciato quasi trent’anni fa, precisamente nel 1991, quando un ristretto gruppo di veterinari, agronomi e zootecnici, che avevano maturato esperienze professionali nell’ambito della cooperazione internazionale in Paesi in via di sviluppo, decise di mettere in piedi questa avventura. Da allora, VSF Italia (che inizialmente si chiamava SIVtro, Società Italiana di Veterinari Tropicalisti) ha sempre avuto il proprio quartier generale all’IZSVe. L’idea – che è anche la vision di VSF – è di contribuire alla sovranità e alla sicurezza alimentare per tutti, così come di promuovere l’equità, la giustizia e la sostenibilità nell’uso delle risorse naturali e la solidarietà tra i popoli.

Nel corso degli anni le collaborazioni sono state numerose. Fra i progetti più rappresentativi vi sono quelli in Kosovo (VSF capofila, IZSVe partner) per la formazione di personale sanitario impiegato nella salute animale dei bovini; in Algeria, nei campi profughi Sahrawi, con il coinvolgimento di esperti IZSVe e una collaborazione concreta nelle indagini, supportate dai laboratori dell’IZSVe, per la valutazione epidemiologica di alcune malattie infettive (peste dei piccoli ruminanti, Rift Valley Fever e rabbia); infine un progetto in Madagascar, con IZSVe capofila e VSF partner, per la formazione delle popolazioni rurali in ambito agro-zootecnico. Da non dimenticare infine il contributo di entrambi alla realizzazione delle varie edizioni del Master in Cooperazione Veterinaria Internazionale dell’Università di Padova.

La formazione del personale sanitario è sempre stato uno degli obiettivi di queste missioni. Oggi i profili più richiesti sono quelli dei settori tipicamente veterinari: sanità animale, malattie infettive, igiene delle produzioni lattiero-casearie, zootecnia, figure professionali che certo non mancano in IZSVe. D’altra parte, sono sempre più richiesti anche esperti agronomi come pure specialisti provenienti dalle scienze umane (come sociologi, psicologi, economisti, mediatori culturali), il cui contributo è necessario per costruire la sanità pubblica globale su basi solide e durature, senza farne una merce da esportazione dalle prospettive effimere.

La sanità pubblica veterinaria ha bisogno di interdisciplinarietà

Un chiaro esempio della sinergia tra la ricerca sanitaria e ricerca sociale è rappresentato dal progetto DEFEND (Addressing the dual emerging threats of African Swine Fever and Lumpy Skin Disease in Europe), finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020. Qui, medici veterinari e ricercatori sociali collaborano per rendere più efficaci la prevenzione e il controllo di due malattie infettive che minacciano gli allevamenti europei: la peste suina africana e la dermatite nodulare contagiosa. IZSVe e VSF sono due dei 30 partner del network pubblico-privato guidato dal Pirbright Institute.

Cooperazione internazionale veterinaria

Mauritania. Campagna di informazione sulle principali malattie infettive presenti nell’area.

Giorgia Angeloni è co-leader del Work Package 3 “Conflitti, migrazioni e diffusione dei virus”, assieme al dott. Michele Nori, agronomo dell’Istituto Universitario Europeo. Il loro lavoro mira a generare dati e conoscenze su come la migrazione umana e animale, la mobilità e le dinamiche commerciali siano influenzate da conflitti o situazioni di instabilità e povertà, con tutte le ripercussioni in termini di rischio di diffusione delle malattie nelle regioni interessate. Le aree individuate sono principalmente tre: il confine tra Siria, Turchia e Libano, l’area balcanica e infine il confine est dell’Europa (Romania- Moldavia-Ucraina).

L’obiettivo è quello di studiare le dinamiche sociali che facilitano la diffusione delle suddette malattie. Il lavoro consiste in una grande operazione di raccolta dati sul campo, per una valutazione del rischio sanitario: con un approccio partecipativo, ovvero con interviste agli esperti e ai migranti, si cerca di capire le possibili connessioni fra la gestione delle malattie e la gestione delle migrazioni. Le informazioni vengono quindi confrontate con la situazione epidemiologica, per poi ritornare in campo e fornire alle popolazioni tutte le informazioni sanitarie necessarie per prevenire e contrastare la diffusione delle malattie. Le malattie infettive nascondono una complessità sociale che è necessario studiare e approfondire, per sviluppare dei sistemi di analisi del rischio e controllo sempre più integrati.

Rispetto a qualche anno fa la cooperazione internazionale è cambiata. Oggi sono molti di più i progetti che nascono con una visione a 360 gradi, in cui le variabili sociali, economiche e culturali delle zone di intervento sono da considerarsi al pari delle, per noi più facilmente comprensibili, dinamiche sanitarie o zootecniche.

“Quando veniamo contattati per nuove collaborazioni sappiamo che abbiamo davanti a noi una lunga strada, fatta di ricerca di contatti, collaborazioni, stesura di progetti, fallimenti e successi. I tempi di realizzazione di un progetto sono molto lunghi, in media servono 5-10 anni per vedere risultati duraturi. Sebbene nella grande maggioranza dei casi quando si approcciano nuove aree di intervento siamo chiamati e sostenuti da altre associazioni, ONG ed Enti già presenti in loco, ad ogni nuovo inizio dobbiamo considerare che ci vuole tempo per l’inserimento sociale, per guadagnare giorno dopo giorno credibilità, fiducia, e quella conoscenza profonda del territorio che è l’unico strumento per poter fare un buon lavoro. Le realtà con cui entriamo in contatto sono complesse, le condizioni di lavoro svantaggiose, gli assetti sociali e culturali sono distanti dai nostri, spesso la povertà rende le comunità estremamente fragili”.

Prima la cooperazione, poi la veterinaria.

One Health, adesso è il momento

Cooperazione internazionale veterinaria

Senegal. Vaccinazione di pulcini per la Malattia di Newcastle.

L’approccio One Health è vincente. Ne sono convinti gli scienziati di tutto il mondo: riconoscere l’interconnessione fra uomo, animali e ambiente è la chiave per affrontare le crisi del futuro, non solo quelle sanitarie, ma anche quelle ambientali e legate al cambiamento climatico. Per questo è fondamentale la collaborazione ad ampio raggio fra diverse aree tra cui la medicina umana, la medicina veterinaria e le scienze ambientali.

“Veterinari, agronomi, ecologisti, microbiologi, tutti coloro che sono a stretto contatto con l’ambiente, credono molto in questo paradigma. Diversi anni fa pubblicammo un position paper proprio sul One Health: volevamo evidenziare come gli approcci agro-ecologici potessero migliorare il benessere e la salute animale e umana nel senso più ampio del termine e garantire la sicurezza e la sovranità alimentare.

Oggi uno degli sforzi di VSF, e credo anche dell’IZSVe, è di estendere maggiormente l’approccio One Health anche alla sanità pubblica umana, creando occasioni di collaborazione e network di ricerca con i medici e gli altri professionisti del settore. Il futuro sarà influenzare i  processi produttivi e le scelte dei consumatori”.

 L’emergenza sanitaria causata da Covid-19 ci ha costretto a rivedere non solo la tenuta dei sistemi sanitari nazionali, ma sta mettendo in discussione anche i modelli di produzione e consumo delle risorse del nostro pianeta, a cominciare dal nostro rapporto con l’ambiente e gli animali che lo abitano. Lo scenario di crisi a livello globale ha orientato gran parte della comunità scientifica a concentrare i propri sforzi verso una direzione precisa: prepararsi insieme alle prossime pandemie.

“Fortunatamente oggi – se di ‘fortuna’ si può parlare – l’emergenza Coronavirus sta rafforzando le collaborazioni a livello internazionale, con seminari, condivisione di informazioni, progetti di ricerca, di certo una spinta nella direzione dell’interdisciplinarietà che da anni auspichiamo”.

Il concetto ‘One Health’ è centrale per la sanità pubblica nel suo complesso, umana e veterinaria. Una delle sfide del futuro è arrivare preparati per affrontare le malattie emergenti, attraverso politiche sanitarie e una ricerca scientifica più orientate alla sostenibilità, alla biodiversità e al benessere di persone, animali e ambiente. Potrebbe essere arrivato il tempo anche per pensare a UNA Collaborazione.