Le strutture di ricovero per cani e gatti rappresentano una realtà di grande importanza sanitaria e sociale, che hanno l’obiettivo di garantire la salute e il benessere degli animali durante la loro permanenza. Tuttavia, l’elevato turnover di animali di età, razza e origine diversi, affollati in poco spazio, e la frequente presenza di personale volontario spesso non adeguatamente formato, rendono queste strutture ad alto rischio igienico-sanitario non solo per gli animali ma potenzialmente anche per l’uomo.
Ricercatrici dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno condotto uno studio sulla prevalenza di alcune zoonosi note, potenziali ed emergenti in rifugi per cani e gatti nel Nord-Est, al fine di raccogliere informazioni utili all’implementazione di misure di prevenzione e controllo della diffusione delle infezioni e ridurre il rischio di zoonosi per gli operatori. I risultati sono stati ottenuti nell’ambito del progetto di ricerca RC 12/19 e pubblicati su Frontiers in Veterinary Science.
A delineare il quadro è Alda Natale, direttrice della SCT3 – Padova, Vicenza e Rovigo e responsabile dello studio:
“Nonostante i controlli sanitari effettuati dai Servizi veterinari, ad oggi non esistono piani di sorveglianza strutturati e la gestione quotidiana delle strutture è svolta anche da personale non adeguatamente formato, che può esporsi direttamente a rischi per la salute e operare in modo errato rischiando la diffusione inconsapevole delle infezioni. Per questo motivo è importante utilizzare un approccio condiviso, attraverso la collaborazione fra IZSVe, ASL, operatori sanitari delle strutture e associazioni di volontariato”.
Patogeni noti, rari ed emergenti
Lo studio è stato condotto tra maggio 2021 e settembre 2022 su 389 gatti e 257 cani ospitati in rifugi dei servizi veterinari pubblici e appartenenti a colonie feline delle province di Padova, Venezia, Rovigo, Vicenza, Verona, Trento e Bolzano, mediante campionamento casuale e utilizzo di tecniche diagnostiche sierologiche, molecolari e microbiologiche. I campioni sono stati raccolti nel contesto del monitoraggio di routine e ripartiti per specie, sesso e classi di età.
Tra i diversi agenti patogeni finiti sotto la lente del microscopio figurano Leptospira spp., Brucella canis, Leishmania infantum, dermatofiti, parassiti gastrointestinali, batteri resistenti agli antimicrobici, Capnocytophaga spp., Bartonella spp., Norovirus, Rotavirus A, Cowpox virus, Mammalian Orthoreovirus, virus dell’Epatite E, SARS-CoV-2 e virus dell’Influenza A.
Nell’ambito della ricerca sono state raccolte informazioni epidemiologiche, anamnestiche e cliniche. Al momento del campionamento la maggior parte degli animali non presentava sintomi clinici (87,9% cani; 84,6% gatti) e solo una minima parte dei due gruppi presentava patologie complesse o multiple (1,2% cani; 2,1% gatti).
I dati di sieropositività rispetto ad alcune zoonosi note, come Leishmania infantum (25% utilizzando cut-off ≥1:40; 3.89% con cut-off ≥1:160) e Leptospira spp. (44,3%) nei cani, e Bartonella henselae (70%) nei gatti, sono risultati in linea con ricerche e studi precedenti.
Leishmaniosi
Se i dati per la leishmaniosi nei cani indicano che il Nord-Est comprende aree di endemicità gradualmente crescente, il discorso è un po’ diverso per altre malattie che richiedono maggiore attenzione per il loro potenziale zoonotico o perché emergenti.
In questo caso conoscere il dato di prevalenza e di diffusione di patogeni meno noti, rari o emergenti è importante anche nella prospettiva di definire interventi di prevenzione e controllo più mirati e incisivi, come anche programmi di formazione e comunicazione per operatori e cittadini.
Bartonella
I gatti che hanno accesso all’ambiente esterno sono esposti ad agenti parassitari esterni (per es. pulci, acari, zecche) o interni (per es. parassiti intestinali o polmonari). Nel nostro caso i gatti che vivono liberi o in colonia, non ricevendo una profilassi antiparassitaria regolare, sono frequentemente esposti e riesposti ai parassiti. In questi animali, l’infezione da Bartonella spp. veicolata dall’infestazione da pulci, può assumere una forma asintomatica o paucisintomatica.
La malattia può essere trasmessa all’uomo in seguito a morso o graffio di gatto infetto, e negli esseri umani l’infezione può evolvere in forme gravi della malattia, specialmente in persone giovani o immunodepresse. Poiché il trattamento farmacologico di questa infezione nei gatti a vita libera non è fattibile e potrebbe rivelarsi inefficace, le misure preventive devono concentrarsi sulla profilassi delle pulci per ridurre la probabilità di infezione nei gatti. D’altro canto, un’adeguata formazione per gli operatori può contribuire a migliorare l’approccio e la gestione degli animali, nonché a ridurre la probabilità di esposizione a ferite da morsi e graffi.
Mammalian Orthoreovirus
Uno scenario diverso riguarda alcuni patogeni potenziali, emergenti e trascurati, come Mammalian Orthoreovirus (MRV), per il quale è stata rilevata una presenza significativa nei gatti (2,83%) e meno nei cani (0,38%).
I campioni positivi nei gatti per MRV facevano parte della stessa colonia felina e sono stati campionati in un’unica sessione, il che potrebbe indicare un focolaio a grappolo come già riportato in passato per altre specie animali (pipistrelli, ungulati selvatici). Il potenziale zoonotico di questi virus è tuttavia ancora da indagare.
Capnocytophaga
Altri agenti zoonotici emergenti sono alcuni microrganismi appartenenti al genere Capnocytophaga, che fanno parte della flora buccale di individui sani. Diverse specie di Capnocytophaga spp. sono state segnalate negli esseri umani, mentre altre sono state descritte negli animali. I risultati confermano la presenza del microrganismo sia nei cani che nei gatti.
Tuttavia, a causa delle limitazioni nei metodi diagnostici e della mancanza di conoscenze sulla patogenicità e sul comportamento biologico dei batteri, non è ancora possibile definire un protocollo di screening diagnostico in grado di discriminare le specie e i sierotipi più pericolosi, in primis C. canimorsus, sierotipo A, B, C, D. Di fronte all’eccezionale prevalenza di Capnocytophaga spp. (82,5% nei cani e 64,8% nei gatti), il rischio reale di entrare in contatto con un cane o un gatto portatore di ceppi pericolosi è probabilmente estremamente basso.
Azioni a lungo termine: monitoraggio, formazione e comunicazione
La prevenzione del rischio zoonosi richiede una valutazione delle complesse interazioni tra esseri umani, animali e ambiente, in chiave One Health. Questo è particolarmente importante in contesti come i rifugi per animali da compagnia, che rappresentano siti chiave per il monitoraggio delle malattie e la mitigazione del rischio. In conclusione, lo studio evidenzia la necessità di stabilire degli output nel medio e lungo termine per controllare la diffusione di questi patogeni:
- rafforzare il monitoraggio e dare priorità ai patogeni zoonotici;
- implementare e aggiornare costantemente i programmi di sorveglianza;
- definire corsi di formazione specifici per gli operatori dei rifugi, anche attraverso la produzione di linee guida e protocolli operativi armonizzati;
- definire programmi di comunicazione del rischio;
- integrare l’approccio sanitario con quello gestionale ed etologico-comportamentale, in quanto ogni aspetto concorre al medesimo obiettivo di riduzione del rischio;
- incoraggiare comportamenti corretti sia degli operatori delle strutture di ricovero sia dei cittadini nella loro vita quotidiana.